TU SCEGLI IL CORAGGIO O LA PERFEZIONE?
Parliamoci chiaro, a volte essere donne è una faticaccia, sopratutto quando ci complichiamo la vita e passiamo il tempo a sabotarci senza nemmeno rendercene conto.
Il perfezionismo è un esempio calzante di come noi donne riusciamo a complicare gli affari semplici: non voglio togliere nulla agli uomini, ai quali lasciamo altri primati, ma questa è roba nostra (a parte qualche rara eccezione).
Sin da bambine sembriamo programmate per voler fare tutto al meglio.
Cresciamo aspirando a una perfezione che non esiste e, pur essendone pienamente consapevoli – sfido chiunque fra voi a dire che sia possibile essere perfette – ci attiviamo comunque come soldatini per raggiungerla.
A cosa rinunciamo quando scegliamo la perfezione
Come ti ho già anticipato qui, ciò che gettiamo candidamente dalla finestra quando miriamo alla perfezione è il coraggio.
In particolare la capacità di assumerci dei rischi, di prenderci la responsabilità di scegliere, con possibili conseguenti tonfi e sconfitte, certo, ma anche con un’alta probabilità di farcela.
E soprattutto ci perdiamo l’enorme soddisfazione di averci provato.
Il risvolto paradossale è che siamo convinte che mirando alla perfezione ci stiamo in qualche modo muovendo verso il miglioramento, verso la crescita.
E invece restiamo ferme, rimaniamo incagliate nella nostra zona di comfort, perché uscire allo scoperto significa mettersi alla prova e andare un po’ più in là dei nostri limiti.
Nel suo Ted Talk “Teach girls bravery, not perfection”, Reshma Saujan, fondatrice di “Girls Who Code”, ci parla di “deficit di coraggio” da cui le donne sarebbero afflitte e che le porterebbe a misurarsi solo con attività e carriere in cui sanno di poter avere performance perfette.
Secondo la Saujan questo succederebbe proprio perché alla maggior parte di noi viene insegnato a evitare il rischio e il fallimento.
In pratica, ad accontentarci.
Cosa vuol dire?
Che sin da piccole non abbiamo alcuna confidenza con le imperfezioni, cresciamo con la convinzione di dover rimanere composte, perché le brave bambine sanno rimanere al proprio posto. Di certo non osano.
A differenza degli uomini i quali, sempre secondo la Saujan, verrebbero tirati su a suon di sfide, di inviti a rischiare, che li abituerebbero sin da piccoli a puntare in alto e andare al di là dei propri limiti.
È così che gli uomini si allenano al rischio e al coraggio sin da bambini ed è così che una volta adulti il loro modo di vivere il fallimento è decisamente meno brusco e faticoso.
Bambine perfette e bambini coraggiosi
Nel suo discorso, Reshma Saujan sostiene che così facendo ”stiamo crescendo una generazione di bambine perfette e bambini coraggiosi”. E questo si riflette inevitabilmente non solo sulla vita delle singole persone, ma dell’intera società, tanto da avere pochissime rappresentanze femminili in molti ambiti culturali, economici, scientifici, politici.
L’analisi della Saujan si fa ancora più interessante quando illustra un’altra conseguenza di questo fenomeno.
La buona riuscita di una performance in età scolare non sta tanto nelle abilità cognitive del singolo, quanto nell’approccio alla sfida che ragazzi e ragazze affrontano in maniera diversa.
È dimostrato, continua, che in condizioni di abilità superiori, le ragazze “mollano” prima dei ragazzi, i quali invece colgono le difficoltà con uno spirito quasi elettrizzato ed eccitato che li porta a superarsi sempre.
E nel mondo del lavoro le cose non vanno diversamente, anzi: si stima che gli uomini si candidino a posizioni di lavoro per cui soddisfano a malapena il 60% dei requisiti, mentre le donne passano al setaccio l’annuncio di lavoro e rispondono solo se possiedono (almeno) il 100% delle caratteristiche richieste.
Cosa significa questo?
Che per osare abbiamo bisogno di sentirci più sicure? Sì, ma non solo.
Significa soprattutto che, se il nostro “come minimo” è la perfezione, fare del nostro meglio non sarà mai sufficiente per sentirci soddisfatte.
È come se fossimo condannate alla perfezione, peccato che questo ci renda troppo caute, tanto da rischiare di paralizzarci.
E che privi la società del contributo che noi donne potremmo dare in molti settori, anche quelli in cui siamo storicamente meno presenti.
Non posso negarlo: la prima volta che ho ascoltato questo discorso mi sono sentita “stanata”.
Mi sono riconosciuta nelle parole dell’autrice e in un attimo ho ripercorso tutta la mia vita alla ricerca di azioni coraggiose che potessero dimostrarmi il contrario.
Non ne ho trovate, perlomeno non in giovane età.
Quante cose avrei fatto diversamente se avessi osato?
Non mi sono data una risposta, il passato è passato.
Tuttavia la domanda è stata sufficiente per smuovere in me la considerazione che ciò che conta è come voglio sentirmi adesso.
Cosa voglio fare nel mio presente per non dovermi guardare indietro domani e chiedermi cosa sarebbe successo se fossi stata capace di rischiare?
Cosa voglio fare per sentirmi soddisfatta oggi, qui e ora?
Se ci pensi bene, funziona così per tutte noi.
Quanti corsi dovremo ancora fare prima di sentirci pronte?
Quanti abiti dovremo ancora acquistare prima di sentirci belle?
Quanta esperienza dovremo ancora fare per sentirci competenti?
Quando ci potremo finalmente sentire perfette?
Questa la so: mai.
Non è retorica, è un invito a uscire dalle sabbie mobili imparando a riconoscere i meccanismi in cui siamo incagliate e, forse ancora più importante, imparando a tenderci la mano l’un l’altra.
Come?
Smettendola di puntarci il dito contro per qualsiasi cosa, insegnando alle nostre figlie, nipoti, amiche che la vita va vissuta con coraggio.
Quel coraggio che ci permette di apprezzarci e di mostrarci così come siamo, meravigliosamente imperfette.
E tu, quante volte hai rinunciato per la paura di non essere perfetta?
Quanti disegni hai strappato da bambina per paura di mostrare che avevi colorato fuori dai bordi?
Vuoi trovare il coraggio di uscire dalla gabbia della perfezione?
Compila il questionario che trovi qui per candidarti a lavorarci su insieme a me!
Grazie e a presto,
Patrizia
Ph Jeremy Bishop su Unsplash