Fatto è meglio che perfetto (ma non fatto e chiuso in un cassetto)
A dieci anni, la mia primogenita ha scientemente stabilito che lei riuscirà a ricreare la perfezione.
Ogni volta che si impegna in qualcosa, che si tratti di preparare un dolce, realizzare un disegno o fare l’acconciatura a sua sorella, si impegna a rivedere, correggere, sistemare allo sfinimento, finchè non intervengo e non le dico che è ora – a seconda dei casi- di infornare, riporre i pastelli, posare la spazzola, andare a scuola.
Quando le sembra che ciò su cui si sta concentrando non sia venuto abbastanza bene (bene=perfetto e quando=sempre), lo strappa, lo reimpasta, lo ricomincia daccapo o, peggio, butta all’aria tutto dicendo che “Tanto è inutile!”.
E’ a quel punto che sfodero una frase magica e un gioco di parole:
“Ricordati che vai bene così come sei” e “Fatto è meglio che perfetto, ma non fatto!” e, con un sorriso, la vedo tornare sulla terra e riprendersi, perchè la perfezione è un ideale, ricordiamocelo sempre!
(ndr. essendo lei una bambina lontana dal web, fortunatamente non può sapere che il copyright della seconda frase piuttosto inflazionata non è mio, quindi tenetemi il gioco ;-)!)
Ora, al di là dell’ironia della situazione (ti lascio immaginare quanto del suo atteggiamento risuoni nella “vecchia me” e quanto vorrei prenderla per le spalle e dirle “Figlia mia, ti prego, fermati finchè sei in tempo!”), credo che questo esempio sia importante perchè ciò che fa mia figlia è esattamente ciò che fa chi, per perseguire la perfezione, alla fine non conclude nulla.
Nell’articolo “Tre abitudini perfezioniste che ti stanno bloccando” ti ho parlato di come il perfezionismo si insinua nelle tue abitudini e ti limita, in un meccanismo autosabotante bello e buono.
La sfiducia in noi stesse che sta alla base del perfezionismo, infatti, genera in noi quel pensiero che tutto debba filare liscio al primo colpo e ottenere risultati che superino tassativamente standard e aspettative altissimi.
Che ogni errore sia imperdonabile e che solo il controllo su ogni aspetto, anche sull’imprevedibile, potrà garantire il successo.
Pena essere viste nella nostra imperfezione, non essere apprezzate, nè approvate.
E convincerci ancora di più di non andare bene.
Allora diventa inevitabile rimandare, vergognarsi, nascondersi, mandare tutto all’aria fingendo che non ci importi, minimizzare.
Perchè se fingiamo che non ci importa, forse così sembrerà meno grave anche agli altri e magari potranno continuare ad apprezzarci comunque. Un po’ come succede alla mia bambina.
In questo articolo ti racconto di come il perfezionismo ti sta convincendo che ciò che stai creando non merita di vedere la luce.
Come ti obbliga, da un lato, a non fermarti mai e dall’altro a rimandare all’infinito, nutrendosi della convinzione che i tuoi sforzi non valgano e che tu non sia mai abbastanza.
E insieme ti suggerisco le domande da farti per provare a cambiare le cose.
1. Ti convince di non poterti fermare e di doverti fare in quattro
““Proprio quando sono più stanca e stressata, quasi allo stremo delle forze, mi costringo a dare di più e attivo il perfezionismo e il controllo”. Marta
Nella convinzione di non valere e di non essere meritevoli (di attenzioni, complimenti, ringraziamenti, gratificazioni, soddisfazioni) ci perdiamo in un vortice di auto giudizi e di vergogna, per cui l’unica modalità con cui ci sembra possibile conquistarci un briciolo di credibilità è farci in quattro.
Non darci mai tregua, nè concederci un minimo di pausa o di stanchezza, perchè se ciò che siamo e facciamo non è mai abbastanza, di certo non possiamo permetterci di fermarci.
Provare soddisfazione per ciò che facciamo è impossibile e, se ne abbiamo la percezione, spingiamo subito l’asticella un po’ più in là, pronte per una nuova sfida impossibile.
E così il senso di inadeguatezza cresce, poichè il rischio è di sentirci in colpa perchè non all’altezza del traguardo, per sua natura irraggiungibile.
Le domande guida per darci un taglio:
“A chi desidero andare bene, davvero?“
“Come posso riservarmi più amore e attenzione oggi, anzichè costringermi a essere perfetta?
“Se oggi volessi provare a essere più comprensiva con me stessa, cosa farei?”
2. Ti fa “fissare” sui dettagli costringendoti a rimandare
“Ho voluto la perfezione e ho rovinato quello che andava bene.”
Claude Monet
Non c’è nulla di male a voler migliorare se stesse e ciò che si fa e a voler dare il meglio di sè.
Se concentrarsi sul dettaglio, però, risponde all’intenzione di rendere perfetto ciò che stiamo realizzando, allora la questione cambia.
Rivedere continuamente i dettagli, tornare instancabilmente sui propri passi, riconsiderare con minuziosa precisione ogni risvolto, può solo portarci a non completare mai effettivamente ciò su cui ci stiamo impegnando e a non fargli mai vedere la luce del sole.
Forse la gratificazione che troviamo nei continui aggiustamenti è un modo per rispondere al timore di non essere all’altezza (che si tratti di un progetto professionale o di una torta), non pensi anche tu?
Se fosse così, un risvolto spiacevole potrebbe essere quello di ridursi solamente a sprecare energie e forze invano, dato che chi procrastina per perfezionismo non fa che lavorare invano per rendere perfetto ciò che fa.
Il rischio, quindi, potrebbe essere quello di non sentirsi mai pronte, di ritenere che non sia mai il momento buono per agire o portare alla luce la nostra idea, alimentando la convinzione di non essere capace e la sfiducia in noi stesse.
Le domande guida per darci un taglio:
“Fissarmi sui dettagli, su cosa mi sta permettendo di concentrarmi, in realtà?
“Cosa meriterebbe la mia attenzione adesso?”
“Cosa, oggi, può essere fatto, anzichè perfetto?”