Lettera nonviolenta a tutte le donne
Oggi torno sul blog per raccontare la mia personale visione di “nonviolenza” e di come sia un approccio che, insieme al coaching, mi permette di condurre percorsi molto efficaci e di grande cambiamento.
Per farlo, ho ascoltato il mio bisogno di creatività e il mio desiderio di chiarire che nonviolenza è qualcosa che va oltre l’amorevolezza e il rispetto (concetti già di per sé importantissimi!).
Non è insolito che nei percorsi di coaching individuali e di gruppo io assegni – tra gli altri esercizi – la scrittura di una lettera, che può essere dedicata, di volta in volta, alla situazione che si vuole sbloccare, alla parte di sé che non si accetta, alle proprie imperfezioni, alla propria sé del passato o del futuro (come nell’articolo “Lettera alla me stessa del passato”).
Non ci sono limiti alla creatività che si può esprimere con esercizi di questo genere, né all’efficacia che possono far ottenere in termini di conoscenza ed esplorazione di sé.
In questo articolo, quindi, troverai la mia personale lettera “nonviolenta” , formalmente rivolta a me, ma idealmente dedicata a tutte le donne del mondo, grandi e piccine, alle quali desidero veicolare il mio concetto di nonviolenza e ispirare a un atteggiamento nonviolento verso noi stessi e gli altri.
Una lettera nonviolenta
Rieccoci, cara Patrizia.
Come stai?
E’ passato un po’ di tempo dall’ultima volta che ti ho scritto una lettera e oggi sono qui per raccontarti che, dopo questi anni passati a incontrare donne, a parlare con loro, a osservarle mentre si consideravano colpevoli, incomprese, pavide e poco capaci, ho capito che coltivare un atteggiamento nonviolento potrebbe essere considerato una delle famose chiavi della felicità. O meglio, del benessere e della serenità nel rapporto con se stesse e gli altri.
Sai, Patrizia, dopo questi anni, sono arrivata a pensare che un atteggiamento nonviolento verso noi stesse possa davvero aiutare a riappropriarci della consapevolezza del nostro valore e allentare la morsa della dipendenza dall’approvazione degli altri.
Prima di tutto, voglio svelarti che la base di partenza per coltivare la nonviolenza è dare valore ai tuoi bisogni e, unitamente, a quelli altrui.
E che i bisogni – secondo il punto di vista che ti invito a esplorare – non sono ciò che ti rende manchevole, inferiore, “debole” o fragile, tutt’altro.
Sono ciò che ti distingue, uno degli elementi che ti rende chi sei. Ciò che ti muove, di spinge alla vita e ti guida nelle azioni e nelle scelte.
Un po’ come se fossero una lampadina sempre accesa che illumina i tuoi passi e il tuo cammino.
Proprio così, Patrizia.
C’è un altro sguardo che puoi scegliere di rivolgere alla parola bisogno, rispetto a come comunemente è inteso.
Facendolo, potresti scoprire che il bisogno può essere considerato una qualità di cui tutti noi esseri umani possiamo riconoscere l’importanza, e che, per questo, può essere considerato un’esperienza condivisa da tutti.
E questo non perché ogni bisogno debba necessariamente essere rilevante per tutti allo stesso modo – questo sarebbe un appiattimento, una omologazione – ma perché tutti possiamo sentirci allineati nel coglierne il valore e l’importanza. O almeno provarci.
Sto parlando di qualità come la connessione, il calore umano, il riconoscimento di sé, la stima, la consapevolezza.
Prova a pensarci, Patrizia: se fai un passo di lato e provi a osservare il mondo con queste lenti “nonviolente”, potresti non trovare più motivo di ritenere te stessa (o gli altri) egoista o altruista, potresti non sentire più la spinta a sacrificarti per farti apprezzare.
Né considerare come sbagliato chi la pensa diversamente da te o, vicerversa, sentirti tu colpevole per come sei fatta.
Questa sì che sarebbe una vera rivoluzione, non pensi?
Ricordati anche di concederti di vivere i tuoi sentimenti e che è possibile non classificarli come buoni o cattivi, ma viverli per ciò che sono.
Nonviolenza significa, infatti, considerarli come il mezzo con cui i nostri bisogni si esprimono, con cui ci parlano della loro soddisfazione o insoddisfazione. E che sui nostri sentimenti possiamo agire non solo curandoci dei bisogni, ma anche ascoltando i nostri pensieri, comprendendo come siano proprio questi, mischiati ai giudizi e alle convinzioni, a determinare il nostro stato d’animo.
Assumerci la responsabilità del nostro sentire in fondo vuol dire proprio questo: non considerare gli altri e gli eventi come la causa di come stiamo, ma piuttosto come uno stimolo.
Perché l’indipendenza emotiva si costruisce proprio così: imparando a parlare il lunguaggio dei bisogni e a comprendere che ciò che proviamo è il risultato di un nostro bisogno (in)ascoltato. E questo vale anche per gli altri.
Sai, Patrizia, non esiste il concetto di colpa nella visione nonviolenta di cui ti parlo, esiste la responsabilità intesa come curarsi “del proprio pezzetto” e questo non vuol dire non interessarsi all’altro, bensì lasciargli la libertà di scegliere per sé, senza invadere o lasciarsi invadere.
Se ciascuno di noi si assumesse la responsabilità di ciò di cui ha bisogno, vivremmo in un mondo in cui ciascuno sarebbe in grado di curarsi di sé e, proprio in virtù di questo appagamento, di curarsi dell’altro.
In fondo, se ci pensi bene, cos’è la colpa se non un possibile modo per controllare le azioni dell’altro?
Nel mondo nonviolento che vorrei e che ti auguro di contribuire a costruire, nessuno dipende emotivamente dall’altro e ciascuno è libero da moralismi e da “si deve fare così” per andare bene.
Ognuno è in grado di scegliere consapevolmente, libero dalla colpa, dalla paura, dalla vergogna o dal desiderio di riconoscimento esterno a tutti i costi, ma pienamente padrone della propria libertà di decisione, di capire cosa funziona e cosa no, nel rispetto dell’altro. E, proprio in virtù di questo, di poter comprenderne le ragioni.
Nonviolenza vuol dire non vergognarsi di ciò che è importante per noi, anche se questo vuol dire desiderare un mondo fatto di ascolto, comprensione, empatia, rispetto e magari ti senti l’unica a pensarla così.
Anche se ciò che desideriamo ardentemente può farci sentir “diversi”, strani, incompresi, imperfetti.
Nonviolenza vuol dire condurre una vita in cui sentirsi allineati con ciò che “ci anima”
E potrà sembrarti strano, Patrizia, ma in questa visione anche il giudizio ha la sua importanza e il suo valore: perché il giudizio – anche quando lo rivolgi a te stessa perché non sei perfetta al 100% – è l’espressione di un bisogno insoddisfatto.
Di qualcosa che per noi conta e che non stiamo onorando. Il giudizio – in questo senso – è prezioso, perché ci dice molto di noi.
Così come la rabbia, che porta sempre con sé un pensiero che ci “attiva” e che – se esplorata – nasconde un pozzo di possibile conoscenza di noi stessi.
Perché ci dice a cosa diamo valore e perché, sotto la superficie, cela sentimenti ancora più profondi. Perché la rabbia può essere il mondo con cui inconsapevolmente taciamo il dolore, la tristezza, lo spavento o molto altro. E sapere quale bisogno ci parla attraverso questi sentimenti puà essere una scoperta decisiva, per noi.
La Nonviolenza migliora le relazioni, prima di tutto quella con noi stessi e, contestualmente, quella con gli altri. Ci permette di liberarci di tutto ciò che rende inefficace e frustrante la comunicazione, come le aspettative, le attese, le “letture del pensiero” e la presunzione di sapere cosa sta pensando l’altro.
La nonviolenza rende i rapporti limpidi e autentici, in cui l’altro non è nostro nemico, non è qualcuno su cui affermare le nostre ragioni, ma qualcuno con cui condividere, comunicare. Qualcuno con noi, anziché contro. Qualcuno verso cui riusciamo a riservare comprensione ed empatia, provando a fare un vero e proprio lavoro di immaginazione sui suoi sentimenti e bisogni, anziché dirci che fa ciò che fa per punirci, colpirci o giudicarci.
La nonviolenza è un atteggiamento che ti permette di non voler ragione a tutti i costi, perché non sempre nella ragione risiede la felicità e a volte, quando crediamo di aer bisogno di dimostrare le nostre ragioni, in realtà stiamo cercando di fare altro.
Di essere visti, di sentire la consapevolezza di valere, di appartenere, provare amore, ascolto, protezione, ecc.
Ecco perché ritengo che la nonviolenza, proprio in virtù della profondità con cui consente di conoscerci e ascoltarci, ci permette di alleggerirci.
Dalle zavorre che rovinano i rapporti, che ci inaspriscono e che ci fanno barricare dietro il conflitto e la distanza.
Quando in realtà è nei punti in comune che si trova il benessere. anche quando non ci sono, ma in ogni caso si è predisposti a cercarli.
Perché quando siamo disposti a considerare che abbiamo qualcosa in comune con l’altro, anziché ritenerci soddisfatti solo dimostrando di avere ragione, ci apriamo alla comprensione, all’ascolto e abbandoniamo l’idea che qualcuno sia giusto e qualcun altro sbagliato, iniziando ad abbracciare altri risvolti e altre sfumature.
E forse ora starai pensando che avere un atteggiamneto nonviolento significa diventare una sorta di monaco zen che si fa scivolare tutto addosso: nulla di più lontano dalla verità!
Posso assicurarti che mi arrabbio, che non mi piace tutto ciò che sento e vedo e che non mi faccio andare bene ogni cosa, anzi!
Piuttosto, grazie a questo approccio nonviolento ho smesso di subire, di sentirmi una vittima e di comportarmi da tale. Perché mi sono riappropriata di ciò che mi piace e che voglio, ciò di cui ho bisogno. Ho fatto mie le mie scelte e ho smesso di lasciare agli altri la responsbailità del mio benessere. Ho imparato a tessere relazioni non sulla base della dipendenza affettiva (sono felice se tu sei felice, ad esempio!), bensì sulla certezza che siamo tutti alla pari e che abbiamo tutti un potere enorme. Che è quello di prenderci cura di ciò che desideriamo, anche quando questo significa fare una richiesta a chi ci sta intorno.
Siamo stati educati a un linguaggio violento, fatto di colpe, punizioni, critiche, giudizi, in cui l’altro è la causa di ciò che proviamo. Io sogno un mondo nonviolento in cui si impari, sin da piccoli, il linguaggio dell’empatia: per se stessi, i propri errori, la propria rabbia, i propri bisogni, per gli altri.
Che ne dici, Patrizia, ti va di far parte di questa piccola grande rivoluzione?
Con affetto, la “versione nonviolenta di te”!
Cosa ti colpisce di più, in questa lettera? Se ti chiedessi di scrivere una lettera nonviolenta a te stessa, cosa ci metteresti?
Ph Pexels/Pat Skowronek
cecilia para
Super Patrizia.
grazie come sempre
Patrizia Arcadi
Grazie a te, cara Cecilia!